Relazione del Dott. Franco Da Ronch, psicoterapeuta
Mentre riflettevo sul mio contributo di questa sera e guardavo la locandina con i vari incontri organizzati dal Consultorio Fam, mi sono trovato a seguire alcuni pensieri.
Un primo pensiero riguardava il titolo generale di questa serie di appuntamenti:
“Oltre i 50 i cambiamenti psicologici e fisiologici che avvengono nella persona”cioè la crisi della mezza età che si lega alla menopausa nelle donne o l’andropausa negli uomini e in ogni caso si tratta di un cambiamento psicologico e fisiologico importante che gli uomini e le donne devono attraversare.
Le caratteristiche psicologiche di questo cambiamento tra uomo e la donna sono diverse ma,per quanto riguarda il vissuto emotivo e psicologico cioè dell’angoscia della sofferenza che accompagna questo cambiamento, non c’è differenza.
I cambiamenti della mezza età fanno parte del normale percorso della vita, sono una delle tappe evolutive importanti come può essere la nascita,l’adolescenza.Altri momenti scandiscono la nostra vita,la nostra esistenza come il matrimonio,l’avere figli,il pensionamento e altri ancora.Sono quei momenti della nostra vita che comportano un lavoro psicologico,delle crisi,delle rotture di equilibri consolidati che implica un lavoro di revisione da cui possiamo uscire più forti e saggi oppure più sfiduciati e depressi.
La seconda riflessione riguarda più da vicino l’argomento di questa sera:cioè “ quello che gli uomini non dicono”. Il titolo fa pensare ad un problema di cui ci si vergogna,di solito collegato ad un evento traumatico,inaspettato che ci colpisce all’ improvviso,un accadimento che attiva un’ angoscia,un dolore,di cui si fa fatica a parlare.
Numerose sono le cose di cui non parliamo,si fa fatica a parlare del dolore,della verità,che a volte lo accompagna,spesso non riusciamo a parlare alle persone a cui vogliamo bene per non farle soffrire perché temiamo di dare loro un dispiacere,una preoccupazione.
Proviamo ad immaginare i motivi per cui non parliamo,le ragioni possono essere molte,questo vale sia per gli uomini che per le donne. Le donne,in genere sono più dirette e disinvolte ad esprimere le loro emozioni,gli uomini tendenzialmente sono più chiusi e riservati, ma anche su questo non c’è una regola precisa: può accadere anche il contrario.
Come dicevo non si parla delle cose che ci fanno soffrire,che possono far soffrire,si fa fatica a parlare delle nostre paure,come la paura di dover dipendere da qualcuno,della paura della solitudine,della perdita di autonomia,della perdita di capacita,della fragilità.Inoltre si fa fatica a parlare di tutto ciò che insidia l’immagine che abbiamo faticosamente costruito di noi stessi,sia l’immagine pubblica,lavorativa e sociale ma anche l’immagine che coltiviamo segretamente di noi stessi in noi stessi.
Dato il tempo a disposizione voglio parlare degli aspetti della crisi più in generale tenendo conto che in questo caso gli aspetti generali rimandano anche a quelli più specifici della malattia.Pensavo perciò di soffermarmi sulle caratteristiche del trauma fisico e psicologico.Perché la malattia è un trauma psicologico,una crisi,la rottura di un equilibrio,dell’armonia tra i diversi aspetti di noi.
C’è da sapere che un lavoro psicologico silenzioso, di integrazione e di sintesi di aspetti contradditori di noi stessi,ci accompagna silenziosamente sia di giorno che di notte e riguarda la nostra possibilità di salute sia fisica che mentale.
Questo lavoro di integrazione avviene nel continuo scambio tra il nostro mondo interno un mondo dove abitano figure,personaggi della nostra storia che interagiscono tra di loro e tra loro e il nostro Sé, come un dramma teatrale che segue determinate trame e copioni.
Il nostro equilibrio mentale,la nostra salute dipende da una buona dialettica tra il mondo interno e il mondo esterno.
Il trauma sconvolge i nostri equilibri e,come diceva Winnicot,(*)interrompe il senso di continuità dell’essere, si manifesta come un evento non subito integrabile rispetto all’equilibrio precedente e può rimanere dissociato nella psiche della persona generando sentimenti di impotenza e fragilità.
Con il trauma l’aspetto oscuro violento della vita entra prepotentemente nel nostro mondo, improvvisamente e dolorosamente scopriamo di vivere un illusione di salute e di immortalità.
Teniamo presente che il trauma presentifica,ci fa ricordare la nostra morte,e l’evento traumatico collega la persona con la realtà della morte.Il pensiero della morte invece di essere un idea astratta,un evento sperimentato come la perdita di qualcuno,diventa un fatto personale,più vicino,più reale. Nel trauma non ci sentiamo più immortali, ridimensioniamo la nostra onnipotenza e diventiamo piccoli.
Questo è il punto su cui vorrei riflettere con voi cioè la relazione che c’è tra il trauma e la morte o meglio sul rapporto tra il senso di vitalità e il senso di morte emotiva. Nell’esperienza della vita c’è uno strano e delicato intreccio tra vita e morte.Sembra banale dirlo ma è così, il trauma insidia la vita aggredisce la nostra vitalità,non solo fisica ma emotiva e psicologica.Il trauma genera un senso di vuoto e il senso del vuoto crea un sentimento di morte che alimenta di nuovo l’esperienza del vuoto e la perdita di significato.
Sant ‘Agostino nelle sue Confessioni dice che ognuno porta con sé la propria morte non solo quella biologica ma anche quella psicologica. Ma non si ferma qui, va oltre,affermando che il nostro essere,io direi la nostra vitalità emotiva, può venir meno anche nell’esistenza intellettuale e morale perché in ogni momento dell’esistenza,della vita si pone continuamente una scelta,una decisione che ci permette di aderire o meno ad una vita piena e soddisfacente.
Per il Santo in ogni decisone, dalla più importante alla più banale, noi scegliamo tra il diavolo e il buon Dio,tra l’essere e il non essere.
Cosa vuol dire questo?Che noi siamo sempre in bilico tra il vivere una vita intensa,in contatto con il nostro sé più vero e la spinta a fuggire la vita e la sua intensità per paura,per ipocrisia.Per egoismo ci allontaniamo dalle sorgenti profonde del nostro essere e senza accorgerci scivoliamo nel “ non essere” di SantAgostino.
Così per inciso ricordo che per il santo il male è collegato alla mancanza di essere cioè alla mancanza di vita piena.
Cosa c’entra direte “ l’essere e il non essere” con la crisi,con il trauma?Per me c’entra molto perché quello che viene insidiato dalla malattia,dal trauma,è il rapporto con la vitalità,la nostra capacità di sentirci vivi di trovare soddisfazione e piacere nella vita,nel mondo, come rischiassimo con i traumi di spegnere in parte la nostra vita,di far morire aspetti e parti di noi stessi,come un morire prima del tempo.
Sant Agostino ci ricorda che le nostre stesse abitudini, la routine ,gli interessi materiali ed egoistici ci nascondono la vita.
Ricordate il dottor Faust di Goethe. Faust deluso,disperato di tutto il suo sapere si confronta con un senso di vuoto e di inutilità esistenziale,si lascia imbrogliare da mefistofele che lo convince facendogli credere che l’immortalità,la ricchezza, i piaceri egoistici e materiali possano riempire il suo vuoto,ma non è così perché per Faust e noi tutti la cosa importante è essere pienamente umano,di mantenere il contatto vitale con il mondo,con se stesso con la natura,di non perdersi in un sentimento di morte e di vuoto, ma di vivere una vita umanamente piena.
Il vissuto depressivo alla fine è collegato alla perdita di vitalità che accompagna il trauma,la conseguenza del trauma è la limitazione della nostra capacità di sentirci vivi.La perdita di vitalità si manifesta in vari modi nel restringimento della capacità di sentire i vari sentimenti,nella limitazione della nostra capacità di sognare,della nostra immaginazione,nella spiacevole sensazione di irrealtà,di distanza nelle relazioni con gli altri e con noi stessi.
Infine è come ci trovassimo a vivere con il presentimento che qualcosa di terribile incombente sta per accadere,un dolore ci aspetta e temiamo di non poterlo sopportare tollerare.
Per tornare sugli aspetti più normali della crisi del cambiamento della mezza età,è importante non lasciarci troppo distrarre dalle rimurginazioni sul passato o dalle preoccupazioni del futuro e concentrarci più sul presente.Sicuramente ci troveremo a pensare di non essere riusciti a realizzare tutto quello che avremmo voluto e desiderato,che molto ci resterebbe ancora da fare,incompiuto.
Ma se riusciamo ad attraversare tutta questa turbolenza emotiva affrontando la confusione e la sofferenza che la crisi comporta,riconoscendo la violenza e la distruttività che la vita porta con sé senza cadere nella depressione o in atteggiamenti di negazione,potremmo approdare ad un realismo più pacato, una rassegnazione costruttiva,una ritrovata serenità del vivere.
Gli atteggiamenti maniacali ,la ricerca insistente di stimolazioni,sono anche un modo per rianimare una vitalità che sentiamo in pericolo.
Ricordate che la crisi è lo sforzo necessario per trasformare il modo di vedere la vita e il mondo, con lo scopo,alla fine,di trasformare noi stessi.
Finirei con l’esortazione di Goethe:Ricordati di vivere! Io aggiungerei: nonostante tutto,che è la stessa invocazione di Winnicot: “ Oh Dio fa che io sia vivo quando muoio”.
La pazienza
Talvolta vi appaiono dei colori particolarmente
Austeri, invernali, di bosco e di neve,che
daccapo ti fanno pronunciare la bella parola “pazienza”,
che ti fanno pensare alla pazienza dei vecchi contadini
o quella del monaco con il suo saio bigio: un silenzio
simile a quello che regna sotto la neve o tra i muri
di calce di una cella.
La pazienza che significa aver
vissuto, aver penato, aver resistito, con modestia,
sopportazione,ma senza rivolta, ne indifferenza,ne
disperazione; come se,dentro questa pazienza,
si attendesse nonostante tutto una sorta di
arricchimento; quasi che la pazienza permettesse
di impregnarsi sordamente dell’unica luce che conta.
Philippe Jaccotet